Storia
Boschi, gerbidi, incolti sterminati per ettari e ettari tra il Casalese e la Marca di Ivrea. Era il paesaggio che i primi monaci cistercensi arrivati da La Fertè (Borgogna), intorno al 1123, si trovarono davanti una volta chiamati dal marchese Aleramo per dissodare una terra inospitale che di lì a qualche anno sarebbe non solo diventata fertile e adatta alle prime coltivazioni cerealicoli (miglio, sorgo…) ma che, a distanza di due secoli, avrebbe accolto, prima in Italia, la coltivazione del riso. Ad attestarlo alcuni documenti dell’ospedale di Vercelli che ne confermano la coltivazione nel Vercellese, prima che nel Pavese. Il riso e le risaie sono quindi da secoli paesaggio famigliare e consueto in quelle cosiddette grange (le aziende fondate dai Cistercensi) di cui Lucedio fu fulcro e abbazia principale. Il nome, infatti, testimonia come Lucedio (da lucus Dei, bosco di Dio) fosse stato il primo insediamento di un sistema agricolo arrivato intorno agli inizi dell’Ottocento a contare oltre venti aziende agricole. Di queste ultime, Lucedio, come il sole nel sistema solare, è sempre stato fulcro e stella polare, con la sua meravigliosa struttura lineare in mattoni, il grande airale centrale, il chiostro, la sala capitolare su cui insistevano le celle dei monaci, la sala refettorio e la chiesa, bassa, a capanna a tre navate di cui quella destra immetteva direttamente alla base del campanile. A metà Settecento l’ambizione dell’abate Castelnuovo delle Lanze impose l’abbattimento di quest’ultima, sostituita come i tempi imporranno con le architetture barocche (Juvarra già lavorava a Torino e nel Torinese).