La sala capitolare è l’ambiente più importante del monastero, dopo la chiesa. E’ il luogo in cui veniva letto e commentato quotidianamente un capitolo della Regola – da questo, il nome sala capitolare.
Qui venivano anche affrontate tutte le questioni, potremmo dire, più pratiche legate alla gestione del monastero e dei suoi monaci: è questo il luogo in cui poteva essere stabilita la fondazione di una nuova abbazia, si decideva l’acquisto o la permuta di un terreno, in cui veniva eletto (o destituito) l’abate e in cui si ammettevano i candidati al noviziato.
Nella sala capitolare si confessavano anche i peccati contro la Regola, o si accusavano i confratelli peccatori (secondo la convinzione che la delazione fosse una virtù) e si assegnavano le conseguenti punizioni.Tali punizioni erano ponderate in base alla gravità del peccato e potevano comportare il salto di uno o più pasti, il mangiare da soli (che era considerata punizione poiché la cena veniva intesa come riproduzione dell’Ultima Cena), fino anche all’espulsione dal monastero.
Per finire, qui si commemoravano i fratelli defunti.
La sala capitolare è letteralmente l’unico luogo in cui i monaci posso interloquire (escludendo la sala del locutorium, dove però, venivano assegnati ai monaci semplici compiti quotidiani e non dialogavano tra loro).
La sala dell’Abbazia di Morimondo è architettonicamente pensata affinché possa favorire un’ottima acustica. Lungo tre delle quattro pareti, correva un sedile in pietra a U, dove i monaci sedevano con ordine gerarchico riproducendo la disposizione delle sedute del coro – con l’abate al centro.
E’ interessante osservare che la parete che si affaccia al chiostro è fondamentalmente aperta, con grandi aperture quasi sempre delle trifore. Queste finestre molto più grandi delle altre presenti nell’abbazia avevano uno scopo: servivano ai conversi affinché potessero ascoltare, senza entrare nella sala.
Chi sono i conversi? Il termine che meglio sintetizza il loro stato giuridico è quello inglese, lay brothers, fratelli laici.
Nell’Exordium Parvum si legge: “Senza l’aiuto di questi, non riusciamo ad immaginare come potremmo osservare pienamente, di giorno e di notte, i precetti della Regola. I laici con la barba saranno trattati in vita e in morte come noi stessi, tranne riguardo ai diritti dei monaci coristi.” Vengono definiti Fratelli con la Barba (fratres barbati) perché radersi era un lusso e i conversi erano, solitamente, di origini meno nobili rispetto ai coristi, che invece si radevano. I monaci conversi si occupavano dunque di tutte le questioni legate ai contatti con l’esterno del monastero e ai lavori nei terreni dell’Abbazia. Non che i monaci coristi rinunciassero al lavoro manuale, ovviamente. E di certo, i conversi non venivano sfruttati come manovali, infatti erano in tutto e per tutto dei religiosi membri della comunità monastica e dunque vivevano anche loro, in parallelo, come i monaci coristi su quasi tutti gli aspetti.
I conversi non potevano intervenire nelle decisioni sulla gestione del monastero, pertanto potevano solo limitarsi ad ascoltare dalle grandi trifore: è da qui che nasce il modo di dire “NON AVERE VOCE IN CAPITOLO”!